Non fare finta di niente. La metafora della montagna di pietre


Nel mio ultimo libro "La felicità è nelle tue mani", quando ho parlato del procrastinare (ovvero rimandare) le questioni che ci causano sofferenza quotidiana ad un altro momento, ho utilizzato la metafora della montagna di pietre.

LA MONTAGNA DI PIETRE
Un giorno accade qualcosa - ad esempio un comportamento altrui - che vi fa arrabbiare. Fate finta di niente dicendo, a voi stessi, che non vale la pena arrabbiarsi. Fate finta di nulla o fate qualsiasi cosa che distolga il pensiero da quell' evento accaduto.
Dopo diverse ore, forse mentre siete impegnati a fare tutt' altro e, per giunta, con altre persone, il vostro pensiero ritorna lì, alla situazione o alla persona che vi aveva fatto arrabbiare diverse ore prima.
Il giorno seguente accade un evento diverso, e anche questo vi turba: agite allo stesso modo (facendo finta di nulla) ma, di nuovo, dopo diverse ore, accade di pensare a questo evento e, forse, anche a quello del giorno prima.

La metafora che ho inventato paragona gli episodi che ci fanno arrabbiare (o soffrire) a dei sassi che gettiamo alle spalle, convinti che, non pensandoci più, li abbiamo eliminati dalla mente. Se ogni giorno gettiamo alle nostre spalle un sasso (un problema), dopo molto o non molto tempo avremo dietro di noi una grande montagna di sassi che, all' arrivo dell' ennesimo problema, ci cadrà addosso facendo male a noi stessi ma anche a chi è vicino a noi.


ABBIAMO REALMENTE DIMENTICATO?

Se, nel momento in cui affermiamo « Questo evento non mi tocca minimamente! » il nostro pensiero non va più su quell' evento oppure, se ci va, sorridiamo o comunque rimaniamo indifferenti, significa che abbiamo realmente lanciato il sasso nel mare anziché lanciarcelo dietro.
Se invece succede di pensarci spesso e, nel momento, arrabbiarsi come se l' evento si stesse ripetendo di nuovo, allora significa che non lo abbiamo lasciato andare ma lo abbiamo legato ad una catena alla nostra gamba, trascinandocelo ovunque.

Questo accade quando pensiamo continuamente (e ossessivamente) ad una persona che ci ha fatto del male, o a una persona che crediamo ci abbia fatto del male, o ad una situazione che ha causato dei danni a noi o a qualcun altro.

La memoria trattiene i ricordi ma, molto spesso, siamo noi a tenerli vivi dando loro da mangiare: come mai certe persone o certi episodi li dimentichiamo completamente mentre altri rimangono nella nostra mente per decenni?
Siamo noi a richiamare il passato un po' come facciamo con le vecchie fotografie che tiriamo fuori dalle scatole piene di polvere o dalle cartelle del computer dimenticate da tempo, o quando andiamo in un ufficio e chiediamo della documentazione che non veniva richiesta da tempo. Il problema non è il passato, ma l'importanza che gli dai. Pensiamo al passato (recente o vecchio) e stiamo male.
Come risolvere? Affrontando immediatamente il problema.


AGIRE SUBITO FA MENO MALE DELL' IGNORARE IL PROBLEMA

In pochi lo facciamo ma, la soluzione migliore ed efficace è affrontare subito il problema che ci turba: parlarne con qualcuno, sedersi, pur da soli, ad analizzare la situazione, chiarirsi con l'altra persona e, infine, accettare ciò che non possiamo cambiare. Accettare.

  • Non possiamo costringere un' altra persona a pensare o agire così come noi riteniamo giusto

Possiamo avere tutte le ragioni del mondo ma è difficile far cambiare opinione ad un'altra persona o portarla ad agire diversamente: si possono spiegare le proprie ragioni, mostrare le conseguenze del suo agire, ma non di più. Così come noi non vogliamo imposizioni, neanche gli altri le vogliono. O forse non direttamente.
La verità dei fatti è sempre una: le cose le capiamo sempre da soli. Nessuno può convincerci a cambiare idea se non siamo noi a riflettere e cambiare pensiero.
Ecco perché, specie nelle discipline e filosofie orientali apprendiamo che i Maestri indicano la direzione, ma non in che modo procedere.
Guardiamoci indietro e ricordiamo i periodi in cui noi stessi avevamo delle idee che oggi rigettiamo: noi siamo cambiati, e probabilmente lo abbiamo fatto da soli, con il nostro ragionamento. Stessa cosa con gli eventi: se sono accaduti, non aggrappiamoci ad essi. Le cose succedono e, un secondo dopo che sono accadute, già fanno parte del passato e, come sappiamo, il passato non si può cambiare.

  • Non facciamo finta di niente se il problema ci tocca e ci fa stare male

È come fingere che la ferita non stia sanguinando. Qualsiasi cosa si sta facendo, dobbiamo fermarci e slegare il nodo che stringe la nostra mente, slacciare i lacci e liberarci di quelle scarpe strette che ci fanno stare male, toglierci quel cappello che ci stringe il capo, aprire le finestre e cambiare l'aria della nostra stanza.
Sediamoci e cerchiamo di capire bene le cause del nostro disagio: accettiamo che l'evento si è verificato, accettiamo che quel che è successo non possiamo modificarlo ma, quel che faremo, potremo farlo diversamente. Vediamo le cose positive e partiamo da lì.

  • Non corriamo sempre. Diamo tempo al tempo

Il tutto richiede tempo. Non dobbiamo avere fretta.
Quanto tempo ci abbiamo messo ad apprendere certe conoscenze? Quanto ne abbiamo impiegato per maturare con la nostra mentalità? Qualsiasi cosa richiede tempo.
Il problema (che non è presente nel passato) dei giorni nostri  è la velocità
Sembra assurdo ma, se da un lato la velocità straordinaria della tecnologia ha migliorato la praticità delle nostre vite, dall' altro ci ha illuso che anche noi umani siamo veloci. Ci metteremo sempre più o meno lo stesso tempo per fare diversi chilometri a piedi, per leggere un libro intero, per cucinare il nostro piatto preferito, per realizzare un nostro sogno.
L' utilizzo costante della tecnologia ha traslato questa percezione di velocità su noi stessi portandoci a credere illusoriamente che ci voglia poco tempo per ritornare felici, per mandar via la sofferenza e la rabbia, per scacciare l' ansia, per imparare dai nostri errori...
No! Ci vuole tempo. Ognuno ha i suoi tempi e la cosa importante è raggiungere l'obiettivo e stare bene: non ci importa quando accadrà. Una casa va costruita bene dalle fondamenta, e non innalzata in poco tempo rischiando di farla cadere prima che qualcuno vada ad abitarci.

  • Ammettiamo gli errori

Ammettere di aver sbagliato non deve esser una autocrocifissione ma un modo per non crederci invincibili. Può sembrarvi strano ma... nessuno è invincibile! Ogni individuo può crollare in qualsiasi momento, oppure è già crollato ma non lo ha mostrato agli altri.
Ammettere di aver sbagliato ci fa crescere, ci fa capire l' errore, ci permette di impostare meglio il nostro futuro riducendo gli errori futuri e, quindi, i danni a noi stessi (e agli altri).
Anche ricordare i nostri vecchi modi di pensare ci aiuta: come vi sentireste a ritornare con la mentalità che avevate dieci, venti o trent' anni fa? Forse molti rimpiangeranno l'età giovanile ma penso che davvero pochi vorrebbero ritornare ad avere quella modalità di pensiero, quell' immaturità e quella poca consapevolezza che si aveva quando si era più giovani.

Sorridiamo sempre, anche di fronte ai guai
È successo: e ora che si fa?
La vita è piena d imprevisti e, come dice una frase famosa, "Vivere è come andare sulle montagne russe": un giorno siamo felici, un giorno arrabbiati, poi siamo di nuovo felici per diverso tempo, poi tristi, poi siamo stanchi, poi siamo pieni di forze e arrabbiati, poi felici ma deboli,...
Non saremo mai sempre felici così come non saremo mai sempre tristi. Se qualcosa accade, dobbiamo risolverla e, se si tratta di un piccolo imprevisto, è bene riderci sopra.
Se ridere, piangere o arrabbiare non ci risolve il problema... a questo punto non è meglio scegliere il modo per stare subito meglio appena accade l'evento? Dunque.. ridiamoci su!  Vi sembrerà folle, ma non lo è. Folle è colui che, accaduto un fatto, resta lì a piangere o arrabbiarsi. I problemi non si risolvono da soli e, se il problema in sè è già un problema (pardon il gioco di parole), perché crearne degli altri stando emotivamente male?

Ognuno ha le proprie credenze ma, nel caso la vita fosse una sola, non sarebbe uno spreco viverla soffrendo o arrabbiandosi ogni giorno?
Se vogliamo stare bene, perché dovremmo causare sofferenza agli altri? E se un giorno saranno gli altri a farci soffrire, e noi non potessimo ribellarci, come faremmo?

La felicità è come l'odio, si trasmette a macchia d'olio.
Diffondiamo la felicità, chiediamo aiuto e aiutiamo gli altri e, come un "virus buono", diffonderemo più felicità, meno rabbia, riuscendo ad affrontare le questioni così tempestivamente da ritornare a stare bene dopo poco.

Lapenna Daniele


Il Buddhismo non è una religione, il Buddha non era un Dio, non obbligava a credere in una divinità o a seguire i suoi insegnamenti, ma insegnava solo come eliminare la sofferenza.
Ogni giorno ci capita di mettere in pratica il Buddhismo senza saperlo, e questo, per il Buddha, significava seguire i suoi consigli. 
Questo libro non ha lo scopo di spiegare al lettore quanto era straordinario il Buddha, ma quanto straordinari siete voi.
Prendendo come riferimento il Canone Pali, la grande mole di scritti sulla vita di Siddhartha, si approfondirà il vero insegnamento del Buddhismo, scoprendo che non si tratta di una religione, ma di una specie di filosofia che ci invita a comprendere la nostra vita da soli, senza perdere tempo a imparare a memoria certe pratiche, o a purificarci bagnandoci in acque sacre, ma aprendo gli occhi e la mente di fronte alle nostre emozioni quotidiane, affrontandole e raggiungendo la vera felicità.

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Commenti

  1. Ciao Daniele è la seconda volta che cerco di leggere questo tuo articolo, molto interessante e un pensiero che condivido. Ma dopo un po' che leggo, sarà il digitale, sarà che sono nella fase letargica anche se sono le 13:05, ma faccio scorrere un po' di righe e riprendo. Comunque rileggendo un po' qua e un po là, trovo interessante, la questione fare finta di niente. Credo che sia importante, almeno per quanto riguarda me, tenere vivo il ricordo, che poi purtroppo o per fortuna si affievolisce, ma con consapevolezza, perchè non credo che l'uomo possa avere il potere sul cervello, anzi credo che sia proprio l'incontrario e così mentre stai facendo una qualsiasi cosa, blob... il ricordo emerge come una bolla d'aria dal mare o dal fiume! Questa era del mio maestro!
    Credo che si bisogna prendere coscienza del fatto che sia accaduto, fare una considerazione e riporla nelle esperienze, riemergerà di tanto in tanto, ma come un fatto cosciente che ti sei dato un motivo, mentre se riemerge e riemerge, in un momento, che non sei pronto, allora può essere doloroso. Parlo sempre per mia esperienza personale, sai che non ho studiato.

    Adesso da te è notte, per cui ti auguro un sonno ispirante per i prossimi tuoi scritti!

    Buona

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Saverio!

      Mi sono accorto ora, dopo ben sei mesi, di questo tuo commento!
      Ogni tanto Google ritorna a boicottare le notifiche dei nuovi commenti.

      Bella la parte sul ricordo che "se riemerge e riemerge, in un momento, che non sei pronto, allora può essere doloroso" e, collegandola alla frase dove scrivi che non siamo noi ad avere il potere sul cervello ma il contrario, ecco che comprendiamo che i ricordi riaffiorano, riaffioreranno, come un nemico dal bosco, e quando saremo consapevoli di noi stessi, quel tizio non sarà più un nemico ma, al massimo, un vecchio amico inconsapevole che viene a trovarci di tanto in tanto.

      Grazie per il tuo commento.
      Mi avevi scritto questo commento quando eri dall' altra parte del globo! :D
      Straordinario!

      Ciao Saverio!

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    2. Sono cose che succedono.

      Infatti come giustamente citi, in i ricordi... nemici...

      Credo che l'errore, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, sia nel giudicare troppo amico, nemico o con indifferenza, il nostro corpo o le singole parti o organi, cuore, cervello...

      Dovremmo trattare con rispetto, come alleati, con autonomia e possibilità di scambio veduta.

      Concludo, meglio trattare con consapevolezza il proprio essere, ma per farlo si bisogna essere consapevoli.

      Gaber diceva, per avere esperienza, bisogna fare esperienza, io lo so per esperienza, per cui basta trasformarla in consapevolezza.

      Saluto

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    3. Non ricordavo quella frase di Gaber: bella!

      Infatti è così: dovremmo esser consapevoli.
      Dalla mia (modesta) esperienza, ho compreso che, forse, occorre riflettere meno sulle cose, nel senso di non fissarsi (proprio come dici) sul giusto e su ciò che è sbagliato, sul bello e sul brutto, sulle discriminazioni in generale perché si rischia di proseguire, così come la società civile ci ha inculcato, la divisione in gruppi di ogni elemento/idea esistente.

      Faccio un po' come quando (se fosse possibile sarebbe bellissimo) prendere un tot di persone completamente diverse (etnicamente, di pensiero e status sociale), spogliarle dei loro abiti (magari ci lasciamo giusto l'intimo) e metterli su un' isola deserta: dopo mesi, non riusciremmo a rilevare le loro caratteristiche che li contraddistinguono (e discriminano, nel bene o nel male) nella società. Ci sembrerebbero, ad una prima occhiata, uguali.

      Come al solito, le belle discussioni finiscono oltre l'argomento iniziale ma è questo che mi piace dei dialoghi aperti.

      Ciao Saverio!

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