GENOCIDIO: una parola che fa paura
In queste ore ho assistito a un siparietto tra due accademici durante la trasmissione Accordi e disaccordi.
Da un lato, il professor [Alessandro] Orsini, che sosteneva che a Gaza è in corso un genocidio; dall’altro, la professoressa [Michela] Ponzani, che riduceva gli eventi a semplici crimini di guerra.
Un confronto acceso, ma emblematico di una distanza che non è solo linguistica, bensì politica e morale.
Perché mentre in studio si litiga sulle parole, a Gaza la gente muore. E la realtà, anche senza il conforto di una definizione giuridica, grida.
Vale allora la pena fermarsi e interrogarsi: cosa significa davvero genocidio? E, soprattutto, possiamo ancora permetterci di negare che sia esattamente ciò che sta accadendo?
Il termine genocidio è stato coniato nel 1944 dal giurista polacco Raphael Lemkin, unendo genos (popolo, razza) e -cidium (uccisione). È diventato definizione giuridica internazionale con la Convenzione ONU per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio del 1948:
“Qualsiasi atto commesso con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale.”
Cinque le azioni che lo configurano:
1. Uccisione diretta di membri del gruppo.
2. Gravi lesioni fisiche o mentali.
3. Creazione di condizioni di vita insostenibili.
4. Impedimento delle nascite.
5. Trasferimento forzato di bambini.
Spesso si parla della Shoah come dell’unico vero genocidio della storia.
In realtà, la storia ne è tragicamente segnata. A partire dallo sterminio dei nativi americani — massacri, deportazioni, carestie indotte, cancellazione culturale — vera e propria fondazione coloniale degli Stati Uniti
La Shoah non è stata un’eccezione. È stata, semmai, il genocidio meglio documentato.
Quello che accade nella Striscia di Gaza è sotto gli occhi del mondo. I numeri, i video, le testimonianze parlano chiaro. Chi continua a sostenere che le operazioni israeliane siano rivolte solo contro Hamas, e che i civili siano “danni collaterali”, mente. Sapendo di mentire.
1. Mortalità civile altissima.
Decine di migliaia di morti. Donne, bambini, anziani. Famiglie intere spazzate via. Quartieri cancellati.
Colpite scuole, ospedali, ambulanze, campi profughi. Danni collaterali? No: civili come bersaglio.
2. Distruzione delle infrastrutture vitali.
Acqua, elettricità, strutture sanitarie, vie di comunicazione: tutto sistematicamente distrutto. Una popolazione ridotta alla fame, alla sete, alla malattia. È la creazione deliberata di condizioni invivibili.
3. Affamamento sistematico come arma.
Le operazioni militari non si limitano ai bombardamenti: puntano alla fame. Magazzini di cibo distrutti, convogli umanitari bloccati, agricoltura impossibile, porti e valichi chiusi.
Affamare un popolo non è una conseguenza della guerra: è un’arma.
4. Blocco totale e isolamento.
Dal 2007, Gaza è una prigione a cielo aperto. Due milioni di persone, in gran parte giovani e bambini, costretti a vivere senza accesso libero a cibo, medicinali, carburante, aiuti umanitari.
Un laboratorio di apartheid in pieno Mediterraneo.
5. Retorica disumanizzante.
Numerose dichiarazioni di leader israeliani dipingono il popolo palestinese come una minaccia esistenziale. Si invoca apertamente la pulizia etnica, l’espulsione di massa, la cancellazione culturale. Prima si disumanizza, poi si annienta.
6. Strategia sistematica e continuativa.
Non è una reazione episodica. È una politica. Frammentare, occupare, espellere. Le operazioni militari a Gaza, unite all’espansione delle colonie nei Territori Occupati, mirano a cancellare ogni prospettiva di Stato e identità palestinese
.
Secondo la Convenzione ONU, è sufficiente il tentativo di distruggere “in parte” un gruppo umano perché si possa parlare di genocidio.
E infatti, la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che sussiste il “plausibile rischio di genocidio” del popolo palestinese, imponendo obblighi precisi a Israele per impedirlo.
Dunque la domanda non è più: è genocidio o no? La domanda è: quanto siamo disposti a tollerare ancora prima di chiamare le cose col loro nome?
Le azioni dello Stato di Israele non sono solo crimini di guerra. Sono atti sistematici, intenzionali, distruttivi, mirati alla cancellazione fisica e simbolica del popolo palestinese.
Questo è, nel senso pieno del termine, genocidio.
Chi lo nega, oggi, è: o il carnefice, o il suo complice — o, come nel caso della Ponzani, l’intellettuale che presta la propria voce a una rimozione, apparentemente neutrale, ma profondamente colpevole.
di Alfredo Facchini
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