Genitori-figli: quando i ruoli si invertono

 


Quando si affronta l'argomento riguardante il rapporto genitori-figli, quasi sempre si parla dal proprio punto di vista, e in modo soggettivo: da genitore o da figlio.

Il genitore, spesso, elenca i sacrifici intrapresi per i propri figli, magari lamentandosi delle fatiche e delle problematiche affrontate, la vita dura vissuta da bambini con i propri genitori e il discorso volto a sottolineare il fatto che «Tu, figlio mio, per fortuna, non hai vissuto quel che ho vissuto io. Ritieniti fortunato» e qualcuno (non tutti) ci aggiunge l'irriconoscenza da parte del figlio/i per l'impegno svolto nel loro ruolo.

Difficile schierarsi dalla parte del genitore o del figlio, poiché ogni caso è a sè stante, ma è evidente e chiaro che ogni genitore è stato un figlio e ogni figlio non è detto sarà genitore, ma molto spesso lo è già.
Sì perché accade che i figli facciano da genitori ai propri genitori dimostrando più maturità e gestendo le situazioni al loro posto "raddrizzando" ciò che i genitori stanno dirigendo nel verso sbagliato.
Si considera comunque l'impegno profuso dal padre e dalla madre ma si dimentica che ci sono genitori diventati tali anche se al tempo del concepimento non volevano esserlo, e genitori che volevano esserlo ma non ne avevano ancora le capacità le quali molte volte non riescono ad acquisire neanche durante la crescita dei propri figli.
Lo psicologo tedesco Bert Hellinger (1925-2019) spiegava che quando in una famiglia si crea un rapporto distorto dove il figlio fa da genitore ai propri genitori, si crea uno squilibrio che causa dei problemi i quali pesano di più proprio sui figli.

NON È UNA QUESTIONE DI COLPA
Il punto non è la colpa, ma la maturità intellettuale. Quale deve essere l'atteggiamento di un genitore maturo intellettualmente? Gli psicologi, tra i quali proprio Hellinger, sottolineano che il ruolo del genitore deve esser ben definito e distorcerlo equivale a creare uno squilibrio psicologico nei figli.
Il genitore maturo non si sfoga dei propri problemi con i propri figli ma, come il ruolo archetipico e biologico ha trasmesso in modo naturale e istintivo nei millenni, cerca la soluzione migliore senza però imporre poiché la scelta del genitore non deve oscurare il cosiddetto "libero arbitrio" del figlio che ha un suo carattere, un suo modo di vedere la vita e una sua mentalità.

Aperta parentesi. 
I genitori hanno il vizio di vedere i figli così come vorrebbero che fossero e non come sono realmente. In questo modo non parlano con loro, non chiedono, non scoprono i loro interessi, non cercano di capire le loro idee ma impongono la loro visione, magari vedendo il figlio sempre come il bambino che ha sempre obbedito.
Se i figli seguono le loro idee e i loro modi di fare, allora sono "normali" ma se hanno idee diverse, allora sono disobbedienti, scapestrati, incivili e soprattutto sono cambiati. Sì perché da bambini i figli obbediscono in modo naturale, "biologico", ma crescendo sviluppano la loro identità staccandosi dai modi di fare dei genitori smettendo di emularli, ed è lì che il genitore pensa « mio figlio è cambiato » solo perché ha smesso sia di obbedire agli ordini dei genitori che di imitarli e scimmiottarli in ogni situazione (soprattutto nel rapporto con gli altri).

Chiusa parentesi

Per ciò che concerne gli elementi di analisi transazionale nella pedagogia sperimentale e psicologia dell’educazione, si distingue il genitore normativo e il genitore affettivo: il primo comanda, pone divieti, punisce, impone regole, è giudizioso con i figli e con gli altri; il secondo offre premura, è permissivo, è comprensivo, non giudica ma si astiene dal giudizio.
Si hanno quindi due tipi di figli che da bambini potranno essere adattati o liberi: nel primo caso si adegua alle norme, obbedisce senza opporsi, diviene timido, è dipendente dai genitori; il secondo è spontaneo, curioso, ha voglia di divertirsi e di seguire le sue idee, è creativo, si forma da sè una idea sugli altri.

È chiaro quindi che il genitore è spesso un bambino non cresciuto o cresciuto in un modo da non aver sviluppato la sua capacità di discernimento, ovvero la capacità di formulare un giudizio o di intraprendere un determinato comportamento in conformità con le esigenze della situazione, cioè in modo obiettivo e oggettivo.
Se qualcuno fa notare un errore o sottolinea un danno a causa del suo comportamento sbagliato: il soggetto maturo mentalmente lo ammette e cerca di impegnarsi per evitarlo in futuro; l'immaturo si pone sulla difensiva, alza la voce immediatamente, si sente attaccato e quindi attacca a sua volta, rivolge la colpa agli altri, si inalbera, evita di discuterne chiudendo la discussione o deviando il discorso, e si allontana, fugge. 
Capiamo bene che se l'immaturo è un genitore, il danno verso ai figli e doppio, e se il figlio è un soggetto maturo mentalmente, il danno è triplo, e se questo figlio ha, a sua volta, dei figli, il danno è quadruplo perché si ritrova a "gestire/aver a che fare" con più figli di quelli ai quali dovrebbe badare.

PRESA DI COSCIENZA
« Non si nasce genitori » è la frase di difesa, ma la risposta è « Ma lo si può diventare ».
Un genitore che impone è un genitore che non sa gestire gli imprevisti, che emula l'educazione del proprio/a èadre/madre, che vuole ostacolare i propri figli, che forse prova invidia (ebbene sì, accade più spesso di quanto si possa immaginare) per il/la figlio/a che è riuscito a far ciò che il genitore non è riuscito a fare da giovane.
Un genitore troppo permissivo diviene il/la figlio/a del proprio figlio: spinge questi a diventare adulto prima dell'età matura così che potrà prendersi cura di lui (se padre) o lei (se madre) e coprire la "voragine" lasciata dall'assenza del proprio genitore.

La soluzione è solo la presa di coscienza della propria identità, del proprio ruolo, scegliendo la strada della verità evitando la menzogna, smettendo di imporre ma aprendosi ai propri figli conoscendoli, scoprendoli, svelando ai propri occhi chi sono realmente e accettandoli così come sono.

Un figlio deve essere libero di volare e non dovrebbe essere mai giudicato, né invidiato, né ostacolato ma al massimo consigliato.

"La maggior parte delle abitudini che pensate di far acquisire ai bambini e ai giovani
non sono vere e proprie abitudini,
perché essi le hanno prese per forza
 e assecondandole loro malgrado
aspettano solo l'occasione di liberarsene.
Non si prende il gusto di stare in prigione a forza di restarvi:
l'abitudine, in quel caso, invece di diminuire l'avversione, l'aumenta
." 

da "Emilio o dell'Educazione" (1761)
di Jean Jacques Rousseau (1712-1778)



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