Il male è un qualcosa al di fuori di noi stessi, oppure è dentro di noi?


Il “male” esiste? Dov’è? È possibile... sconfiggerlo?

Papa Bergoglio, nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta, parla del
diavolo. Ammonisce i fedeli con la frase « non dialogare con il diavolo, è il grande bugiardo » e invita a « essere attenti al diavolo ».
Tralasciando il discorso sulla reale identificazione dell’ “entità biblica” del diavolo ma considerando sia inteso come il male e le bruttezze dell’ uomo, la parte che mi trova fortemente in disaccordo è quella nella quale sottolinea che « Con il diavolo non si dialoga, perché lui ci vince, è più intelligente di noi ».
Lo paragona al
cane rabbioso, incatenato, al quale ci avviciniamo, veniamo feriti, e poi ci lamentiamo di esserci fatti male. Ecco perché invita a stargli lontano.

Il problema cade nel fatto di ritenere il male un qualcosa al di fuori di noi stessi, e quindi, un nemico dal quale tenerci lontani e sentirci al sicuro. Purtroppo, il male non è fuori noi stessi, ma dentro di noi, ma non siamo noi il male.
Il male è la conseguenza delle nostre turbe emotive, dei nostri dubbi, del nostro orgoglio, dei nostri rimpianti e rimorsi, della nostra invidia e gelosia, insomma, della nostra sofferenza.

Il nostro male è figlio della nostra sofferenza.

Chi soffre, prova dolore, ma può provare rabbia contro il mondo, gli altri, e agisce per far soffrire le altre persone in modo da poter trovare sollievo: «
Se non riesco a ottenere la felicità, diminuirò la felicità altrui, così da poter vedere la mia sofferenza come una piccola felicità». Stare lontano dal male (o dal diavolo, che dir si voglia), è un modo per fingere che il male (e la sofferenza) non esista. 
Come possiamo comprendere la sofferenza, il male, il dolore, la felicità, se non la proviamo?  
No, il diavolo non è un nemico che possiamo guardare negli occhi e affrontare, oppure evitare fuggendo al sicuro. Il male lo generiamo noi stessi, lo infondiamo negli altri, lo assorbiamo dagli altri, e dobbiamo guardarlo in faccia, scoprendo che è dentro di noi. 
Nel Dhammapada del Canone Pali Buddhista Theravada si trova un passo nel quale il Buddha descrive l’ assenza di Consapevolezza come un carceriere che lo teneva imprigionato nell’ inconsapevolezza.
Comprendendo dov’è il male, chi è il vero diavolo, toccando con mano ciò che ci fa scottare, capiremo cosa provoca la nostra e l’ altrui sofferenza e potremo, finalmente, smettere di “partorire” il male, generando solo la felicità

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