La meditazione Buddhista sull' impermanenza


Nel precedente articolo "La meditazione Buddhista contro l'ansia" abbiamo parlato del kshanti (sanscr.), ovvero l'accettazione.
Si tratta dell' accettare tutto ciò che accade nella nostra e nella vita altrui, tutto ciò che vediamo succedere e che non possiamo controllare, dallo scatenarsi di un temporale alla morte di una persona cara.
Accettare, però, non significa esser passivi e non reagire alle situazioni che invece possiamo cambiare ma, invece, agire per cambiarle in positivo, raggiungendo la serenità interiore.
Oggi parliamo dell' impermanenza (nella foto sopra un campo di fiori che non vediamo così colorato tutto l'anno proprio perché anche i fiori sono impermanenti).

L' IMPERMANENZA
L' impermanenza (anicca) è un altro concetto base dell' insegnamento buddhista.
Così come ho spiegato nel mio libro "La felicità è nelle tue mani", tutto ciò che abbiamo intorno a noi è impermanente: tutto si manifesta, tutto si trasforma (e muore).
Una persona nasce, cresce, invecchia e muore. Stessa cosa accade per un animale e per una pianta. Anche gli oggetti cambiano, anche se più lentamente: una pietra, ad esempio, ci impiega anche migliaia di anni a trasformarsi in sabbia.

Nel Buddhismo tutto ciò che si manifesta dentro e fuori di noi è chiamato dharma.
Con i sei organi di senso (occhi, orecchie, naso, lingua, corpo e mente) veniamo a contatto con i sei oggetti dei sensi (forma e colore, suono, odore, sapore, oggetti tattili e oggetti mentali) che, assieme alle sei coscienze dei sensi (coscienza visiva, uditiva, olfattiva, gustativa, tattile e mentale), formano i diciotto reami (dhatu).
Questi dathu sono impermanenti e soggetti a creazione, trasformazione e dissoluzione.

Vediamo una persona avere un grave incidente. L' evento avviene e termina in quell' istante (come ad esempio la caduta da una scala: non si cade per un' ora, ma il tutto dura qualche secondo). Nonostante ciò, nella nostra mente c'è ancora quella scena che però è frutto (appunto) della nostra mente: quella persona non si sta facendo di nuovo male ma noi la vediamo di continuo farsi male.
L' antifurto del vicino inizia a suonare e ascoltiamo il fastidioso rumore per diversi minuti. Dopo, però, termina. In noi può restare ancora il fastidio ma, di fatto, il rumore è finito. Non c'è più anche se la nostra mente staziona ancora nel momento in cui il rumore cavalcava l' apice del nostro fastidio.
Odoriamo un profumo nauseante (di un qualunque tipo): è eterno? Oppure c'è un momento in cui c'è, un altro che non c'è, e un altro momento in cui ritorna (anche se diverso dalla prima volta per intensità e durata)?

LA MENTE CHE RENDE PERMANENTE
CIÓ CHE È IMPERMANENTE
Anche nella mente i fenomeni compaiono e vanno via. Il problema della mente, però, non è solo che agisce nei confronti degli altri oggetti dei sensi ma rende anche più difficoltoso sbarazzarsi dell' oggetto del senso, ovvero dell' oggetto mentale. Facciamo un esempio.

Dobbiamo assumere una medicina dentro un bicchiere di acqua. Il sapore è orribile: mentre beviamo abbiamo quel saporaccio in bocca ma poi, dopo aver bevuto solo acqua, o un succo, o dopo che sono passate ore, quel sapore è andato via da solo. Per la mente, non è così.

Nell' esempio, la mente agisce nell' oggetto gustativo (il sapore) ricordandoci, anche dopo giorni o anni, quel saporaccio: « Giulio, non sai che saporaccio aveva quella medicina! Mi sembra di sentirla ancora in bocca! ». In realtà il sapore non c'è, ma il richiamo a quell' episodio ci porta a provare quasi le stesse sensazioni di quando avevamo assunto la medicina.
Nell' oggetto mentale, però, la mente resta su quell' oggetto del senso (una persona, un evento, etc...) anche per ore, giorni, mesi e anni: la mente è ossessionata o meglio, come ho scritto nel libro, è "legata ad una catena". Ci si trasciniamo dietro quel pensiero che diviene un peso che ci rallenterà il cammino.

Subiamo un' ingiustizia da una persona e, anche se l' episodio termina, o se la persona è stata punita, o se noi siamo stati risarciti del danno o se addirittura la persona è morta, noi proviamo sempre sofferenza, odio e risentimento. La mente prosegue a stazionare in quella situazione facendoci provare una sensazione che avremmo dovuto provare al massimo solo durante il verificarsi di quell'evento.
Quell' ingiustizia che è impermanente (è stata pensata, poi commessa, e poi è terminata) è divenuta permanente come se si stesse compiendo ogni ora della giornata, ogni giorno del mese, ogni mese dell' anno, ogni anno della nostra vita.

LA MENTE DISCRIMINANTE
La "mente che discrimina" significa una mente che, ad esempio, pensa che siamo stati offesi e che dobbiamo restare offesi per tutta la vita (anziché andare avanti e proseguire a vivere la nostra vita), o pensa che l' odore provocato dalla cottura dei cavolfiori sia un cattivo odore (quando per altre persone è un buon profumo), o ritiene che il canto degli uccelli sia insopportabile, o pensa che un albero sia grande (mentre altre persone ne hanno visto di più grandi).

Se ci pensate bene, ci sono momenti in cui un rumore, un sapore, una persona ci sono lieti e momenti in cui, invece, ci causano fastidio. Se ci pensiamo a fondo, vediamo che quel rumore è sempre lo stesso, quel sapore anche e anche quella persona non è cambiata. Perché a volte ci danno fastidio e altre volte no? Perché la nostra mente discrimina.

Grande, piccolo, brutto, bello, profumato, non profumato, difficile, facile, sono discriminazioni.
Non dobbiamo eliminarle ma analizzarle e comprenderle. Sono nostre sensazioni e solo noi sappiamo come trattarle.

RIFERIMENTI AL CANONE PALI BUDDHISTA
I sutra del Canone Pali che affrontano l' argomento impermanenza sono diversi. Se segnalo alcuni.
Nel Sutta Pitaka:
  • Samyutta Nikaya 12,43, 22.83, 22.85 e 22.90
  • Majjhima Nikaya 109 e 137
 
ESERCIZIO PRATICO:
MEDITAZIONE SULL' IMPERMANENZA

  • Se non li ricordiamo, segnamoci su un foglio tutti e sei gli oggetti dei sensi
    (forma e colore, suono, odore, sapore, oggetti tattili e oggetti mentali)
  • Sediamoci comodi (a gambe incrociate, o seduti su un divano, l'importante è che siamo comodi, in un ambiente confortevole e a nostro agio)
  • Pensiamo ad un dharma per ogni oggetto dei sensi (spiego nei punti successivi i dettagli) e immaginiamo
    - il momento in cui è comparso
    - tutti i momenti in cui si è trasformato
    - e il momento in cui è scomparso (o dovrà scomparire)
    Se durante questa meditazione i pensieri si spostano ai dettagli di un dharma, non distogliamoli, ma approfondiamoli. Ad esempio, mentre pensiamo ad un buon odore, possiamo ricordare l' odore della torta che ci preparava nostra nonna che non c'è più. Pensiamo alla nostra nonna, alle sensazioni piacevoli e a quelle spiacevoli.
  • forma può essere una persona, un animale, una pianta, un frutto, un oggetto inanimato di un qualunque tipo (un libro, un telefono, una maglietta, una foto, un' automobile...)
  • suono
    pensate prima ad un suono piacevole come una musica, il canto di un uccello, la voce di una persona cara, e poi ad un suono spiacevole
  • odore
    pensiamo ad un buonissimo odore e poi ad un cattivo odore, e come ci siamo sentiti quanto lo abbiamo captato e quando non lo abbiamo sentito più
  • sapore
    pensiamo al sapore di un cibo che ci piace tanto e a quello di un alimento del quale faremmo volentieri a meno
  • oggetti tattili
    pensiamo a qualcosa che abbiamo toccato che ci ha provocato piacere, e a qualcosa che invece ci ha recato fastidio
  • oggetti mentali
    sia i dharma fisici che le sensazioni (piacevoli e spiacevoli) sono oggetti mentali.
    Una persona, un suono, un odore, un sapore divengono oggetti mentali quando entriamo in contatto con essi.
    Pensiamo ad una persona: i momenti in cui ci va di ascoltarla e i momenti in cui la evitiamo.
    Pensiamo ad un suono, a come lo percepiamo noi in base al nostro stato d'animo.
  • Ciò che dobbiamo fare è vedere chiaramente come ogni dharma sia impermanente.
    Il nostro obiettivo deve essere staccarci dalle forme, dai suoni, dagli odori, dai sapori, dagli oggetti tattili e da quelli mentali e smettere di considerarli eterni.
    Dobbiamo smettere di portarceli dietro per tutta la vita perché altrimenti non vivremo il presente, non godendo delle forme, dei suoni, degli odori, dei sapori, degli oggetti tattili e di quelli mentali che ci sono oggi.
Smettendo di vivere nella nostalgia, nel rimorso e nel rimpianto, inizieremo a vivere nella felicità godendo di tutto ciò che abbiamo oggi sapendo che domani non ci sarà più: un suono, un gusto, un sapore, la presenza di una persona, una bella sensazione...
Tutto è impermanente, ma tutto può esser goduto oggi. Adesso.


Leggi GRATUITAMENTE l'anteprima del libro e scopri dove e come ordinarlo al link


Chetsang Rinpoche, Capo dell'ordine Drikung Kagyu del Buddhismo tibetano, illustra la profonda importanza di comprendere l'impermanenza (soprattutto nella società moderna) non solo per quelli che praticano il Buddhismo, ma per tutti, a prescindere dalle loro credenze.

Commenti