Voltaire: il filosofo più ipocrita, cinico e approfittatore ancora oggi venerato dai letterati

 


Voltaire è lo pseudonimo (con il quale era ed è conosciuto) che si diede François-Marie Arouet. Fu un filosofo, drammaturgo, storico, scrittore, enciclopedista francese. 
Molti conoscono le sue tante opere scritte e ricorderanno come fu uno dei personaggi più importanti del secolo dei "lumi", gli Illuministi, ovvero coloro che rifiutavano il pensiero superstizioso ponendo la razione razionalista alla base del pensiero umano.
Ciò che però molti non sanno è che non solo Voltaire era un gran ipocrita e che la sua figura odierna è una costruzione geniale dei seguaci dell'Illuminismo che hanno oscurato le sue orribili azioni, ma anche che ebbe una lite epistolare con Jean Jacques Rousseau, anzi, più precisamente fu lui ad attaccarlo, a deriderlo, a organizzare degli scherzi per schernirlo e ridicolizzarlo.
Ma andiamo con ordine.

LA RICCHEZZA, PER VOLTAIRE, NON ANDAVA ELIMINATA
Facendone l’elenco schematico e incompleto, possiamo dire che quando Rousseau esalta il ruolo della natura, Voltaire rivendica la preminenza della cultura e, quando Rousseau mette innanzitutto le ragioni del sentimento, Voltaire gli oppone il raziocinio più affilato. Alla democrazia di Rousseau dove è il popolo che ha il potere e che può far decadere il Sovrano, Voltaire contrappone la razionalità del dispotismo illuminato dove a comandare uno stato doveva esserci un' elìte di privilegiati; quando Rousseau parla di popolo sovrano, Voltaire gli risponde: «Tout pour le peuple, rien par le peuple» (Tutto per il popolo, ma niente dal popolo). Inoltre essi erano completamente in disaccordo sul significato da dare alla parola ragione che Rousseau intendeva come facoltà totale, profondamente immersa nella sensibilità, in cui si realizza l’unità dell’uomo e non il ragionamento dei philosophes del suo tempo, in quanto ragione puramente “di testa”, degradata a gioco perverso e ridicolo.

Però, la questione che suscitò la più grande diatriba, sempre perpetrata da Voltaire (Rousseau si limitò sempre e solo a rispondergli) che aveva il vizio e l'ignobiltà di offendere chi non la pensava come lui (nonostante in certi suoi scritti afferma il contrario), fu sulla ricchezza.
Per Voltaire ― nato in una famiglia ricca ―  il lusso aveva una funzione positiva sulla società e quindi era inamissibile eliminarla. Rousseau, invece e giustamente, disprezzava i ricchi e la ricchezza e praticava e desiderava per tutti una vita semplice, fatta di lavoro utile e onesto, lontano dalle manie e inutilità delle "cricche" dei borghesi (per Rousseau, così come scrive nell' Emilio, il lavoro di orafo è uno dei tanti mestieri inutili, mentre quello dell'agricoltore o falegname erano alcuni di quelli utili al fisico, alla mente e alla società).
Voltaire, dopo aver letto il "Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini" (1754) di Rousseau in risposta al concorso bandito dall'Accademia di Digione (che vinse nel 1750 con il "Discorso sulle scienze e sulle arti"), commentò il testo negativamente. Voltaire, alla frase del testo
"Il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare: "questo è mio" e trovò persone abbastanza semplici per crederlo, fu il vero fondatore della società civile" scrisse:
«Pessima metafisica; ridicolo; penoso; falso; romanzaccio; chimera; sproloquio; abominevole; ...»; sulla condanna delle recinzioni dei terreni, sbraita: «Che! Chi ha piantato, seminato e recintato, non ha il diritto a godere dei frutti delle sue fatiche?... Che! Si taccia di ladro e di ingiusto chi invece è un benefattore del genere umano! Ecco una filosofia da pezzente!».

Rousseau gli rispose più volte, e le sue risposte furono mirate, precise e pacate, senza mai a offendere così come invece era abituato a fare Voltaire. Di risposta, Rousseau gli scrisse
« Il lusso nutre un centinaio di poveri nelle nostre città e causa la morte di centomila di loro nella nostra campagna; il denaro che circola nelle mani dei ricchi e degli artisti per soddisfare la loro domanda di beni superflui, è perduto per la sussistenza dell’operaio: quest’ultimo non ha vestiti precisamente perché i primi hanno bisogno di ornamenti d’oro per i loro abiti. Lo spreco di generi alimentari necessari al nutrimento degli uomini basta da solo a rendere il lusso odioso al genere umano... abbiamo bisogno di salse nelle nostre cucine; ecco perché tanti malati non hanno neppure una zuppa. Di vino nella nostra tavola, ecco perché i contadini bevono solo acqua. Di cipria per le nostre parrucche; per questo tanti poveri non hanno pane».
Voltaire rispondeva
« Gli abiti dei ricchi non possono essere soggetti a regolamentazione più degli stracci dei poveri. Cittadini entrambi, entrambi devono essere ugualmente liberi. Ciascuno si vestirà, mangerà, avrà una casa, se può. Se impedissimo al ricco di mangiare galletti selvatici, danneggeremmo il povero che, vendendoli, potrebbe mantenere la famiglia. Una legislazione restrittiva del lusso sarebbe ben vista solo dai pigri ...e dai poveri invidiosi che non vogliono lavorare o permettere a chi lavora di godersi la vita».
L'equa distribuzione della ricchezza, per Voltaire, non sarebbe dovuta esistere.
 
VOLTAIRE: CINICO E TRUFFATORE
Siamo nel 24 ottobre 1776, a Ménilmontan. Rousseau ha 64 anni. Durante una passeggiata fuori città un grosso cane, precisamente un alano, che sfuggì al controllo del padrone, si scontrò con lo scrittore ginevrino facendolo cadere per terra, sbattendo violentemente il volto contro il selciato. Così come fu rilevato dal calco della maschera funebre e da ciò che scrisse nei suoi pensieri nel suo ultimo anno di vita (testi pubblicati postumi con il titolo "Le fantasticherie del passeggiatore solitario"), i denti bucarono le sue labbra, si tagliò sul sopracciglio e vicino l'occhio.
Anche se era vivo ma malconcio, qualcuno diffuse la falsa notizia secondo la quale Rousseau fosse morto e Voltaire, appena lo seppe, non poté esimersi di infierire persino su un defunto:
« Jean-Jacques ha fatto bene a morire. Si mormora che non sia vero che sia stato un cane a ammazzarlo; è guarito dalle ferite che il cane, suo confratello, gli aveva fatto; ma si dice che, il 12 dicembre, volle celebrare l’Escalade a Parigi con un vecchio ginevrino di nome Romilly; mangiò come un demonio e, avendone conseguito un’indigestione, morì come un cane. Cosa non di certo degna di un filosofo ». Parole veramente orribili.

Se Rousseau ebbe il coraggio di abbandonare un ben remunerato impiego di segretario presso Monsieur de Francueil per intraprendere il mestiere di copista di musica vivendo sempre in povertà, spostandosi da un posto all'altro, Voltaire non disdegnava più denaro di quel che aveva, oltre a vivere nell'ipocrisia.
Nel 1729 Voltaire aveva esordito in campo finanziario con un colpo gobbo: avendo scoperto, con l’aiuto del matematico La Condamine, che si poteva approfittare di una lotteria che il governo aveva istituito tra i sottoscrittori di certi buoni del tesoro per compensarli della perdita di valore che questi avevano avuto, aveva fondato con alcuni amici una società che sapesse sfruttare la cosa. Prima che il governo potesse correre legalmente ai ripari, i «sistemisti» dell’epoca riuscirono a incamerare notevoli guadagni in modo illegale. Il ricco Voltaire, divenne ancora più ricco.
Dopo questa prodezza iniziale, Voltaire investì sempre oculatamente i suoi danari in rami di attività differenziati, come raccomandano oggi le società di fondi di investimento; non si fece però scrupolo di acquistare anche azioni della Compagnia delle Indie, che aveva tra le sue ragioni sociali quella della tratta degli schiavi, da lui tanto condannata nei suoi scritti. Il suo capolavoro finanziario lo realizzò nel villaggio francese di Ferney, sua residenza al confine con Ginevra, oggi giustamente chiamato Ferney-Voltaire; qui egli seppe attirare più di duecento orologiai, a cui prestava danaro, al tasso in uso, per la conduzione delle loro attività, alloggiandone poi molti nelle sue case d’affitto, una settantina circa. Questa industria fece una temibilissima concorrenza alla vicina Ginevra, anche grazie all’opera di promozione commerciale che Voltaire attuò, tempestando con lettere e inviti i suoi amici altolocati, regnanti, ministri e ricchi possidenti.
Voltaire, inoltre, pubblicò nel 1764 un piccolo testo anonimo contro Rousseau in cui, tra le tante cose, rivelava che lo scrittore ginevrino consegnò i suoi figli alle cure di un orfanotrofio perché Rousseau pensava di non riuscire a mantenerli a causa delle sue condizioni economiche (nelle Fantasticherie spiegherà la verità che ovviamente nessuno conosceva e che era molto distante dalle dicerie dell'epoca).

Insomma, se oggi molti ricordano Voltaire, ne citano gli aforismi e ne fanno di lui un'icona della saggezza, la storia ci racconta un'altra verità: era un uomo ricco e fiero della sua ricchezza, cinico ed egoista, e soprattutto un grandissimo ipocrita.  

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