1° novembre 1755: maremoto a Lisbona. La diatriba Voltaire-Rousseau sui disastri naturali


1° novembre 1755: giorno della commemorazione di tutti i santi.
A largo delle coste di Lisbona (Portogallo) la terra trema e un tremendo terremoto e conseguente maremoto colpiscono la città portoghese causando migliaia di morti. Dopo il sisma, migliaia di persone restano schiacciate dalle macerie ma restano sul luogo ignari del maremoto che da lì a poco travolgerà la città. Le vittime sono circa 30.000.
Mentre il filosofo e scrittore Voltaire (pseudonimo di Francois Marie-Arouet 1694 – 1778), illuminista e deista, si domandò perché Dio avesse permesso un simile disastro con la morte di cotante persone proprio nel giorno in cui i cristiani commemoravano i santi, ovvero le persone che erano più vicine a Dio, lo scrittore, precettore e drammaturgo ginevrino Jean Jacques Rousseau (1712-1778) espose un punto di vista completamente differente per l'epoca schierandosi per la teoria del "tutto è bene", ovvero che tutto ciò che accade nel mondo è bene perché accade per un motivo ben preciso e l'uomo, che spesso non può far nulla per evitare delle catastrofi, può solo accettare l'inevitabile evento.

IL PENSIERO DI VOLTAIRE


«L’espressione "tutto è bene", presa in un senso assoluto e senza la speranza di un futuro, non è che un insulto ai dolori della nostra vita.". Questo era il pensiero con il quale Voltaire aprì il "Poema sul disastro di Lisbona" scritto un anno dopo il disastro, nel 1756.
Nel testo, in merito al disastro, il filosofo parigino si domandava

« ...è questo l’effetto delle leggi eterne che a un Dio libero e buono non lasciano la scelta?
Direte, vedendo questi mucchi di vittime: fu questo il prezzo che Dio fece pagar pei lor peccati?
Quali peccati ? Qual colpa han commesso questi infanti schiacciati e insanguinati sul materno seno?
».

Per Voltaire era inaccettabile pensare che ogni evento accaduto fosse per una giusta causa, altrimenti si avrebbe potuto pensare che Dio era cattivo e puniva gli uomini senza criterio, senza badare ai bambini, alla cieca. Tutto ciò, per un illuminista razionalista deista come lui era inaccettabile!
E proseguiva
“Tutto è bene , voi dite, e tutto è necessario”. Senza questo massacro, senza inghiottir Lisbona, l'universo peggior sarebbe dunque stato? Siete davvero certi che la causa eterna che tutto può [qui si intende Dio, il Creatore di tutte le cose], che tutto sa, creando per se stessa non poteva gettarci in questi tristi climi senza accenderci sotto dei vulcani? Così limitereste la potenza suprema?".
"I poveri abitanti di queste desolate rive, tra gli orrendi tormenti sarebber consolati se qualcun gli dicesse : “Sprofondate e morite tranquilli, le vostre case per il bene del mondo son distrutte".

Le sue domande non trovano risposte e, anzi, prosegue a crearne di altre domandandosi come potrebbe esser Dio a compiere tali azioni, un Dio buono e generoso. Trova così una contraddizione.

"Ma come concepire un Dio, la bontà stessa, che prodigò i suoi beni alle creature amate, che poi versò su loro i mali a piene mani? Qual occhio penetrar può i suoi profondi fini? Dall’ Essere Perfetto il mal non poté nascere; Non può venir da altri, ché solo Dio è Padrone. Eppure esiste. O tristi verità! O strano intreccio di contraddizioni!".

DIO NON C'ENTRA


Di pensiero esattamente opposto, Jean Jacqaues Rousseau rispose alla lettera del filosofo parigino con la sua "Lettera a Voltaire sulla Provvidenza" dello stesso anno, spiegando un altro punto di vista.

« Voltaire, pur mostrando sempre di credere in Dio, in realtà non ha mai creduto che nel diavolo, perché il suo preteso Dio non è che un essere malefico, il quale, secondo lui, non trova gusto che a nuocere. L’evidente assurdità di tale dottrina è rivoltante, soprattutto in un uomo colmo di beni di ogni genere, che, dal seno della felicità, cerca di far disperare i suoi simili con l’immagine orribile e crudele di tutte le calamità di cui egli è immune ».

E poi entra nell'evento del disastro di Lisbona evidenziando le colpe degli esseri umani che, oltre che aver costruito le case vicino al mare, siano tornati nel luogo del terremoto solo per recuperare meri oggetti materiali, esponendosi così al maremoto che, da lì a poco, sarebbe giunto dall'oceano Atlantico:

« Dovete convenire che non era stata la natura a raccogliere là ventimila case dai sei ai sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti in modo più uniforme e in abitazioni più piccole, il disastro sarebbe stato molto minore, e forse non vi sarebbe stato. Tutti sarebbero fuggiti alla prima scossa, e il giorno dopo li si sarebbe visti a venti leghe dalla città, perfettamente allegri come se nulla fosse successo. Invece, sono dovuti restare, abbarbicarsi alle macerie, esporsi a nuove scosse, poiché ciò che lasciavano valeva di più di quello che potevano portar via. Quanti infelici sono morti in quel disastro perché volevano afferrare i propri abiti, o i documenti, o il denaro? Si ignora forse che la vita di un individuo è diventata la sua parte meno importante, e che non vale quasi la pena di salvarla quando tutto il resto è stato perduto? »

Poi spiega che i terremoti accadono ovunque, e quando succede in luoghi deserti, a nessuno importa se muoiono degli animali. Eppure accadono. Quindi la colpa non è di un eventuale Dio esistente, ma del fatto che l'uomo è ovunque e, quando accadono eventi naturali, la colpa, di certo, non è di chi causa questi eventi naturali

« Avreste voluto e chi non l’avrebbe voluto che il terremoto si fosse verificato in una zona desertica, piuttosto che a Lisbona. Si può dubitare che non accadano sismi anche nei deserti? Soltanto che non se ne parla perché non provocano alcun danno ai Signori delle città, gli unici uomini di cui si tenga conto. Del resto, ne provocano poco anche agli animali e agli indigeni che abitano, sparsi, questi luoghi remoti e che non temono né la caduta dei tetti, né l’incendio delle case. ».

Rousseau poi arriva ad una conclusione molto più ampia del ristretto punto di vista di Voltaire, incentrato sul pensiero umanista, dell'uomo al centro di tutto, di un omo-centrismo che rende la Terra e l'Essere Umano stesso il centro dell'Universo. Il filosofo ginevrino ricorda che, nell'universo, le stelle e i pianeti sono tantissimi, e arriva alla conclusione che per l'Essere Creatore di Tutto è più importante la conservazione del Tutto ("Tutto è bene") che la singola, microscopica vita dell' Universo. Egli conserva tutto il Sistema senza badare che, a farne le spese, siano individui che, al cospetto del Cosmo, siano come formiche in confronto a una montagna.

« Egli può dunque, malgrado la sua bontà o piuttosto a causa di questa sua stessa bontà, sacrificare parte della felicità degli individui per la conservazione del tutto » spiega, concludendo
« Credo e spero di valere agli occhi di Dio più del materiale che forma un pianeta, ma se i pianeti sono abitati, com’è probabile, perché ai suoi occhi dovrei valere più io di tutti gli abitanti di Saturno? ».

Il pensiero è molto profondo, e va oltre la vita sulla Terra, includendo un ambiente ampio che tiene conto dell'intero Universo. Tutto ha senso con una visione più ampia, tutto è bene perché le azioni sono la base dell'esistenza stessa della Terra. Come il pensiero buddhista secondo il quale la morte è necessaria affinché ci sia la vita.
L'accettazione di ogni evento permette di accettare la sofferenza, apprezzando l'equilibrio e le azioni nell'Universo che l'uomo può solo ammirare.

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