9 giugno 1762: la condanna del libro "Emilio" di Jean Jacques Rousseau

 

"In questo giorno entrò il popolo del Re e Io. Omer-Joly de Fleury, avvocato del suddetto Lord King, parlando all'oratore, disse: Che si riferiscono alla Corte a Stampato in quattro volumi in ottavo, intitolato: Emile, ou de l'Education, di J. J. Rousseau, Cittadino di Ginevra, detto stampato all'Aia in M. DCC. LXII.".
Inizia così il testo della condanna del tribunale di Parigi del 9 giugno 1762 con la quale fu messo al rogo il manoscritto di Rousseau per via delle idee riportate nel testo pedagogico "Emilio o dell'Educazione" pubblicato il 22 maggio precedente.
Rousseau si dimostrò moderno nel suo modo di affrontare la vita proponendo metodi educativi diversi, volti a far crescere Emilio (nome dato al bambino che nel libro immaginerà di educare dalla sua nascita alla sua età matura) nel miglior modo possibile, senza costrizioni (di alcun tipo, neanche religioso), senza nozioni superflue, senza concentrare tutto sull'apprendimento dai soli libri e fornendo nozioni necessarie per poter affrontare autonomamente la propria vita divenendo il mezzo di sussistenza sufficiente per la salvaguardia di sè stesso.
Il clero e di conseguenza la monarchia francese, intravidero nello scritto delle idee indecenti da impedirne la diffusione con tutti i mezzi. L'11 giugno fu impedita la stampa e vendita di nuove copie, fu ordinato il sequestro di quelle in vendita e in possesso di un qualunque cittadino privato e, quelle sequestrate, furono lacerate e poi date al rogo. La lacerazione dei libri che precedeva il rogo era la stessa procedura della condanna a morte della Santa Inquisizione Cattolica che spogliava il condannato dai propri abiti prima del rogo.

LA CONDANNA
Il testo della sentenza condannava l'idea di Rousseau di "ricondurre tutto alla religione naturale" senza imporre la religione cattolica o qualsiasi altra religione, "istruendo l'allievo solo secondo la natura, la sua unica guida", ammettendo che Emilio poteva non conoscere Dio e quindi non pregarlo, né venerarlo, ma vivere secondo le leggi della natura e della propria sopravvivenza, valutando da sé l'eventuale esistenza di un Essere Divino, senza però credere ciecamente ai testi sacri (di qualsiasi religione).
Rousseau spiegava che le religioni erano nate dagli uomini, i testi sacri erano stati scritti dagli uomini, e che ognuna di esse professava la verità. Sottolineava che era assurdo ritenere la propria religione (e il proprio Dio) come quella vera, perché la religione dipendeva dal luogo in cui si nasceva e che, per assurdo, un uomo nato e cresciuto solo su un'isola deserta, che non aveva arrecato danno a nessuno, non poteva esser punito da un Dio che non conosceva solo perché nessun altro uomo glielo aveva mostrato.

L'indignazione del clero fu enorme perché, come riporta la condanna, "egli [Rousseau] osa tentare di distruggere la verità della Sacra Scrittura e della Profezia, la certezza dei miracoli esposti nei Libri Sacri, l'infallibilità della rivelazione, l'autorità della Chiesa".
Rousseau non pubblicò il testo anonimamente e le autorità, clero incluso, erano quasi stupefatti avesse affrontato a viso aperto, con quel testo, quelli che sarebbero divenuti i suoi nemici. Rousseau non fuggì sino al 9 giugno, convinto che le voci secondo le quali da molti giorni era in atto la pianificazione della censura del suo Emilio fossero infondate e inoltre lui stesso scrisse
« Sono consapevole, quanto alla mia persona, alla mia condotta, ai miei discorsi, all’ubbidienza e al rispetto che devo al governo e alle leggi del paese in cui vivo, e sarei desolato se, sotto questo rispetto, vi fosse un francese che osservasse i suoi doveri meglio di me. Ma quanto ai miei principi di dottrina, in quanto cittadino di una repubblica che stampa il suo libro in una repubblica, non c’è in Francia né magistrato, né tribunale, né parlamento, né ministro, né il re in persona che sia in diritto di interrogarmi e di chiedermi di renderne conto. Se si considera il libro nocivo per il paese, che se ne vieti l’ingresso, se si considera che io abbia torto, che mi si confuti: ma questo è tutto ».

LE IDEE NELL'EMILIO
Di seguito alcune parti di testo dell'Emilio, un testo che qualsiasi educatore ma soprattutto genitore dovrebbe leggere almeno una volta nella vita.

Vivere non è respirare, è muoversi, è far uso degli organi, dei sensi, delle facoltà, di tutte le parti di noi stessi che ci danno la sensazione di esistere. L' uomo che ha vissuto di più non è quello che ha contato più anni, ma quello che più ha sentito la vita. Un tale si è fatto seppellire a cent' anni, ma era morto sin dalla nascita. Ci avrebbe guadagnato a entrare nelle tomba in gioventù, se fino a quell' età avesse almeno vissuto.

Quando un padre mette al mondo dei figli e li nutre, assolve solo un terzo del suo compito. Deve degli uomini alla sua specie, degli uomini socievoli alla società e dei cittadini allo Stato. L' uomo che può pagare questo triplo debito e non lo paga, è colpevole, e forse lo è ancora di più se lo paga solo a metà. Chi non può assolvere ai doveri di padre non ha il diritto di diventarlo. 

La malvagità deriva sempre dalla debolezza. Il bambino è malvagio solo perché è debole. Fatelo diventare forte, e diventerà buono. 

Voler esentare l'uomo da tutti i mali della specie non significa allontanarlo dalla sua stessa costituzione? Io sostengo che, per sentire un gran benessere, deve conoscere dei piccoli mali. Tale è la sua natura. Se il fisico sta troppo bene, il morale si corrompe. L' uomo che non conoscesse il dolore, non conoscerebbe la commozione dell' umanità, né la dolcezza della compassione. Non si commuoverebbe in cuor suo davanti a nulla, non sarebbe socievole, sarebbe un mostro tra i suoi simili.

Sapete qual è il mezzo più sicuro per far di vostro figlio un infelice? Abituarlo a ottenere tutto. I suoi desideri crescerebbero in continuazione con la facilità di soddisfarli. All' inizio vorrà il bastone che tenete voi, poi il vostro orologio, alla fine, l' uccello che vola, la stella che vede brillare e tutto ciò che vede. A meno che non siate Dio, come farete ad accontentarlo?

 I nostri primi maestri di filosofia sono i nostri piedi, le nostre mani, i nostri occhi. Sostituire dei libri a tutto ciò non significa insegnarci a ragionare, ma insegnarci a usare la ragione degli altri. 

I vostri bambini, più repressi sono davanti a voi, più turbolenti sono quando vi sfuggono. Devono pure rifarsi, quando possono, della dura costrizione in cui li tenete.


Un uomo non solo non può sapere tutto, ma non può nemmeno sapere per intero quel poco che sanno gli altri uomini. 

Se vi è al mondo qualche Stato miserabile in cui nessuno possa vivere senza fare del male, e i cittadini sono furfanti per necessità, non bisogna impiccare il malfattore, ma chi lo costringe a diventarlo

Il ricco non ha lo stomaco più grande del povero, non digerisce  meglio di lui; il padrone non ha le braccia più lunghe e più forti del suo schiavo; un grande non è più grande di un uomo del popolo; infine, poiché i bisogni naturali sono ovunque gli stessi, i mezzi per provvedervi devono essere ovunque uguali.

L’educazione ideale deve mettere al centro della sua attenzione il presente del bambino e non sacrificarlo al suo futuro, peraltro incerto, perché un bambino infelice non può diventare un adulto felice. L’educazione deve liberare, sviluppare potenzialità, rendere felice Emilio, non imporgli costrizioni e sacrifici che non siano richiesti dalla natura delle cose.
Emilio non deve diventare né un servo né un tiranno. Non deve abituarsi a dipendere dagli uomini, a obbedire ai comandi imposti con la forza o l’autorità; così come non deve prendere gusto a farsi servire e divenire capriccioso: tutti i suoi desideri sono legittimi, eccetto quello di farsi obbedire per il piacere di essere servito. Deve, invece, adeguarsi alle necessità imposte dalla realtà delle cose e all’ordine della ragione e della coscienza.

Le persone che sanno poco parlano molto e quelle che sanno molto parlano poco. È normale che un ignorante trovi importante tutto quello che sa e lo dica a tutti. Ma un uomo colto non sfoggia facilmente il suo repertorio: avrebbe troppo da dire e sa che c'è da dire ancora di più dopo di lui. Resta zitto.


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